Il Piacenza vive un dramma sportivo cominciato con lo scandalo delle scommesse di quest’estate, finito nei palazi societari dove è in atto il tentativo di cessione e passato attraverso terreni di gioco, là dove contano solo i risultati maturati sul campo. Un avvio di stagione per nulla positivo, quello degli emiliani di mister Francesco Monaco i quali, oltre a fare i conti con i quattro punti di penalizzazione non ancora assorbiti (la graduatoria dice: -1) si sono imbattuti in prestazioni opache.
L’ultimo posto occupato nella classifica di prima divisione B lo mostra in maniera inequivocabile. E ora, a fomentare ulteriormente un ambiente già deluso, i gravi (e irrisolvibili? perchè ci si mette tanto? perchè le bocche cucite?) problemi societari che affliggono i rossi: si attende a giorni il nome della nuova proprietà ma, sebbene si sta delineando in maniera chiara l’ipotesi di una cordata che rilevi il club, i tifosi mostrano scarsa convinzione. Sfiducia, distacco verso quella gente lì. Perchè, inutile il giro attorno: c’è modo e modo di perdere. Di uscire sconfitti. C’è Dignità e dignità. Di vivere le situazioni, di superare le cose. Il dito puntato? Si vede, eccome.
Non solo per la graduatoria, non solo verso calciatori – o meglio, su alcuni di essi -, piuttosto puntato da quella parte là, da dove non arriva tranquillità. L’ambiente? Ne risente in maniera drammatica. Tant’è che il dramma sportivo sta per consumarsi e si tramuta in un cantiere aperto nel quale mancano operai, progetti, intenti, obiettivi. Di rimando, il brand (per quelli là: mica è passione. Semmai sono affari) sembra non attirare più. Nè gli imprenditori nè gli sponsor. Verrebbe da dire che il Piacenza è in primo luogo di Piacenza.
Non di Fabrizio Garilli, non di Monaco nè di Guzman.
Semmai, gli stessi Garilli, Monaco e Guzman sono musicisti di un coro ai quali viene chiesto di incidere e partecipare dell’intento comune al meglio delle possibilità. Mettendo in scena la musica migliore. Allora: le scelte del presidente, gli accorgimenti tattici dell’allenatore, i gol del bomber: tutto diventa funzionale a una comunioone di intenti che pare quantomeno lineare. Ovvero: se non si sceglie, magari poi uno sbaglia la formazione e chi deve segnare poi non segna. Ma di più: se uno si ostina a non scegliere e l’altro a non accorgersi e quello a non tirare finisce che poi qualche domanda ce la si faccia. mai stato fesso, il tifoso. Fedele, semmai, e pronto a rimettrci – di salute, di tasca propria – sapendo bene di essere l’unico a rimetterci. Ancora una volta l’assioma del calcio conferma che dentro un pantano societario che sembra Beautiful, l’interesse personale viene prima del resto. Chissenefrega se. Chissenefrega di.
A volte, non conta neppure salvare la faccia. A volte, non è neanche più questione di dignità. Il “solo per la maglia” cantato a squarciagola dal Garilli che si fa emblema della città è – quello sì – attestato di dignità e rappresentanza che meriterebbe rispetto incondizionato. Invece. Invece il pecunio dilaga anche nei palazzi piacentini. Il centesimo in più o in meno sono vocabolo con cui si scrive ogni cosa. Putacaso anche il futuro di un club glorioso che – mancherebbe altro – ha legato il proprio destino a quello della famiglia Garilli (e viceversa). Solo che uno scandalo emerso con prepotenza ha fatto passare la voglia al patron di continuare.
C’è modo e modo di perdere, si diceva. Esiste Dignità e dignità. Tuttavia, pare assolutamente poco giustificabile il silenzio che ruota intorno alla vicenda societaria specie in un momento delicato come questo: il proclama dei giorni scorsi, infatti, era che si stava arrivando a una svolta. Poi nulla più. Bocche cucite. Che succede a Piacenza: gli ultimi sviluppi sono che il velo alla cordata (c’è ancora la cordata?) non è statao tolto. Eppure la sposa era annunciata sull’altare già da tempo. Si rinvia: si rinvia in continuazione.
Di 24 in 48 ore. Le quote di proprietà della famiglia Garilli sarebbero dovutre passare di mano ai quattro imprenditori interessati in queste ore. Si sa che uno del poker è Pietro Cruciani della Crual Srl, azienda chimico-farmaceutica. Voci dicono che altri due sarebbero Capocchiano e Gatti, non nuovi al club. Il quarto? Forse di Castel San Giovanni, forse con affari concentrati tra Pavia e Voghera.
Si fa, non si fa più, si sta facendo, si farà. Ma i tifosi non sono fessi sebbene qualcuno dica che la ragione sia proprio di quelli lì. E i tifosi, per la maglia e per la città, non si sottraggono a salvare il salvabile. Non rinunciano a garantire a Piacenza, al Piacenza la dignità – onore, orgoglio – che altri stanno calpestando giorno dopo giorno. Pronti a qualunque dimostrazione purchè si capisca che di Beautiful, a loro, non frega nulla. Non gl iappartiene, non li rappresenta. Semmai, li mette in condizione di prendere in mano orgoglio e costanza per dimostrare che “Piacenza non è quella roba lì”, i”il Piacenza non sono quelli così”.
Un comunicato ufficale inviato a sportpiacenza.it lo chiarisce al meglio:
“Nonostante mesi di umiliazioni per le vicende del calcioscommesse e per una retrocessione che definire ridicola è un’eufemismo, noi tifosi piacentini (quelli rimasti) siamo ancora qui a sostenere la squadra. Ovviamente lo facciamo per la maglia, non di certo per le squallide prestazioni della squadra, quella maglia che abbiamo cucito sul petto sin dal giorno della nascita. Abbiamo dimostrato di saper accettare tutto o quasi: diffide per cambio di posto, giocatori invischiati nel calcioscommesse, retrocessione beffa, l’attuale dirigenza fantasma, e tanto altro ancora. Quello che non possiamo e non vogliamo accettare è che il Piacenza Calcio cada in mano ad individui che vogliono speculare su quello che rimane del poco rimasto”.
C’è modo e modo di perdeere e di uscire sconfitti, si diceva. Ecco, abbiamo provato a mostrali entrambi certi di sapere da che parte stare.
“Per la maglia, solo per la maglia”.